Attore. Figlio di Ivan Harris e Mildred Harty, proprietari di un mulino, studia alla Crescent School - dove si mette in evidenza come giocatore di rugby - e in seguito al Sacred Heart Jesuit College. All'inizio degli anni '50 viene chiamato a giocare con discreto successo nella squadra di rugby dei Garryowen, ma a causa della tubercolosi è costretto ad abbandonare il sogno di giocare un giorno nella nazionale irlandese. La passione per la recitazione arriva per caso, quando durante una serata con gli amici a Dublino, invece di andare in giro a rimorchiare le ragazze si infila in un teatro per vedere una rappresentazione dell'Enrico IV di Pirandello. Dopo aver frequentato per un po' le compagnie teatrali locali, nel '55 si iscrive alla London Academy of Music and Dramatic Art e dopo il diploma passa al laboratorio teatrale di Joan Littlewood. Con alle spalle una discreta esperienza sui palcoscenici inglesi, nel 1959 debutta nel cinema con "I giganti del mare" e "Il fronte della violenza" di Michael Anderson e "Alive and Kicking" di Cyril Frankel. Nel 1963 ottiene la prima candidatura all'Oscar come miglior attore protagonista per "Io sono un campione" di Lindsay Anderson - dove veste i panni del rude e inquieto giocatore di rugby Frank Machin - che gli vale anche il premio per la miglior interpretazione maschile al Festival di Cannes. Lanciato nell'Olimpo delle star internazionali, nel corso della sua carriera è stato interprete di numerosi film, soprattutto d'azione, ma i più lo ricordano sotto le spoglie del nobile inglese John Morgan, catturato dai Sioux e in seguito divenuto membro della loro tribù, in "L'uomo chiamato cavallo" (1970) di Elliott Silverstein, che insieme al contemporaneo "Piccolo Grande Uomo" di Arthur Penn, con Dustin Hoffman, è precursore dei film 'politically correct' sugli indiani come "Balla coi lupi" (1990) di Kevin Costner. Ma è stato anche tra i protagonisti del cinema d'autore recitando per registi come Michelangelo Antonioni ("Deserto rosso", 1964 e "I tre volti", 1965), Nikita Mikhalkov ("Il barbiere di Siberia", 1998) e Andrei Konchalovsky ("The Royal Way", 2000). Nonostante gli impegni cinematografici, ha continuato a recitare in teatro e tra i suoi maggiori successi c'è il musical storico "Camelot", portato in scena per diversi anni e di cui è stato nel tempo oltre che interprete anche regista e produttore. Nel '67 il regista Joshua Logan ne ha portato sullo schermo la trasposizione cinematografica con lo stesso Harris protagonista nei panni di Re Artù. Il film non ha ricevuto i consensi sperati, ma è riuscito a mettere in evidenza le doti di cantante dell'attore. Il disco della colonna sonora è rimasto a lungo in testa alle classifiche di vendita americane, così come grande successo hanno avuto i dischi realizzati alla fine degli anni '60 in collaborazione con l'autore Jimmy Webb, "A Tramp Shining" e "The Yard Went On Forever", le cui canzoni negli Stati Uniti hanno avuto una messa in onda radiofonica pari a quelle dei Beatles. Anche i successivi LP "My Boy" e "The Richard Harris Love Album" sono stati accolti molto bene dagli ascoltatori. Nel 1971 è passato dietro la macchina da presa e insieme a Uri Zohar ha realizzato "Un uomo in vendita", di cui è stato anche protagonista e sceneggiatore e che gli è valso la candidatura all'Orso d'oro al festival di Berlino. Nel 1990 ha ricevuto la seconda candidatura all'Oscar grazie al film "Il campo" di Jim Sheridan. Nel suo ultimo decennio ha partecipato a film come "Gli Spietati" (1992) di Clint Eastwood, "Giochi di potere" (1992) di Phillip Noyce, "Ricordando Hemingway" (1993) di Randa Haines, "Il senso di Smilla per la neve" (1997) di Bille August, ma soprattutto è stato l'imperatore Marco Aurelio in "Il Gladiatore" (2000) di Ridley Scott, l'Abbate Faria in "Il Conte di Montecristo" (2002) di Guy Pearce e il professor Albus Dumbledore nei primi due film sul maghetto più famoso del mondo uscito dalla penna di J.K. Rowlands: "Harry Potter e la pietra