| | All'anagrafe: Mario Bava |
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Etą: 109 anni | Data di nascita: 31/07/1914 | Segno Zodiacale: Leone | Luogo di nascita: SANREMO, Imperia (Italia) | | Luogo di morte: ROMA (Italia) |
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| Regista. Figlio di Eugenio, scultore, fotografo e scenografo per il cinema muto. Abbandona gli studi molto presto, all'età di vent'anni si sposa e comincia a lavorare come titolista per le versioni italiane di film americani. Nel 1937 comincia la sua carriera di direttore della fotografia con due cortometraggi di Rossellini "La vispa Teresa" e "Il tacchino prepotente", mestiere che lo porterà a collaborare con altri grandi illustri registi del cinema italiano - "Quel bandito sono io"(1949) di Mario Soldati; "Guardie e ladri"(1951) di Steno e Mario Monicelli; "La famiglia Passaguai"(1951) di Aldo Fabrizi; "Viale della speranza"(1952) di Dino Risi) - mettendosi in luce, oltre che per le sue capacità tecniche anche per l'abilità nel risolvere i problemi di messa in scena. Ad esempio in "I vampiri"(1957) di Riccardo Freda riesce a rendere alla perfezione il clima ossessivo e decadente all'interno della casa in cui si svolge l'azione e cura gli effetti speciali con grande maestria (è sua la tecnica utilizzata per l'invecchiamento di Gianna Maria Canale, realizzato senza stacchi di montaggio, aiutandosi con luci colorate e cerone), anche in "Caltiki, il mostro immortale"(1959) sempre di Riccardo Freda cura gli effetti speciali, usando la trippa per realizzare il mostro protagonista del film; invece con "Le fatiche di Ercole"(1958) di Pietro Francisci collabora all'avvio del filone 'peplum'. Nel 1960 è ormai riconosciuto come tecnico e operatore di grande fama, ed esordisce nella regia con il lungometraggio "La maschera del Demonio" definito primo horror gotico italiano, interpretato da Barbara Steele, lanciata da questo film come star del filone. La pellicola incassa poco alla sua uscita (circa 139 milioni di lire), ma diventa presto un classico. Bava ne cura anche la fotografia e gli effetti speciali. Da quel momento esplora diversi generi, girando ciò che gli piace, ma tenendo sempre conto del gusto del pubblico -"Ercole al centro della terra"(1961), peplum contaminato da atmosfere horror, con un 'cattivo' degno di nota: Christopher Lee, all'epoca conte Dracula di successo; "La ragazza che sapeva troppo"(1962), primo esempio di thriller all'italiana - ma è sempre con l'horror che riscuote il maggior successo. Nel 1963 dirige un film a episodi, "I tre volti della paura", nella cui parte finale appaiono Boris Karloff su un cavallo di legno, il set e gli operatori, mostrando così la finzione del cinema allo spettatore, ciò può essere considerato uno dei primi casi di metacinema. Il film, inoltre, ha ispirato il nome di una delle più importanti rock band della storia, i Black Sabbath: il bassista Geezer Butler ha proposto il nome al gruppo dopo aver visto la pellicola, che in inglese ha appunto il titolo "Black Sabbath". L'anno successivo dirige "Sei donne per l'assassino", che codifica definitivamente il thriller all'italiana, infatti il film mostra vari omicidi diversi l'uno dall'altro e porta in scena per la prima volta un assassino dal volto coperto che indossa un impermeabile e un paio di guanti di pelle nera. Qualche anno dopo, nel 1965 dirige il suo unico film di fantascienza, "Terrore nello spazio" realizzato con pochi mezzi e scenografie scarne. Lo stesso regista ebbe modo di raccontare in più occasioni che aveva a disposizione solo due grandi rocce che spostava per tutto il set. Il film viene distribuito anche negli Stati Uniti, dove è accolto con discreto successo. L'anno successivo dirige Franco e Ciccio in "Le spie vengono dal semifreddo", lavoro su commissione, considerato però uno dei migliori film della coppia. Il 1971 invece è l'anno di "Reazione a catena", che dà il via al genere denominato 'slasher' (dall'inglese 'to slash', ferire profondamente con un'arma affilata; si riferisce a una tipologia di film horror in cui il protagonista indiscusso è un maniaco omicida). La pellicola è nota anche per i molti sperimentalismi, soprattutto l'uso audace del fuori fuoco. Il 1972 è la volta di "Lisa e il diavolo", presentato al festival di Cannes nello stesso anno. Pellicola sfortunata poiché, sebbene il genio e la maestria del regista per gli intrecci e gli effetti siano sublimati, prima riceve una fredda accoglienza e poi viene rimontata dal produttore Alfred Leone, con alcune scene di esorcismo. Esce nuovamente nel 1975 con il titolo "La casa dell'esorcismo", versione dalla quale Mario Bava prenderà le distanze rifiutandosi infatti di firmarla. Negli ultimi anni della sua vita gira quello che è da alcuni considerato il suo capolavoro: "Cani arrabbiati"(1974) che però non arriverà mai nelle sale a causa del fallimento della casa di produzione. Solo nel 1995 verrà distribuito in DVD dalla Cecchi Gori Home Video, con il titolo "Semaforo rosso". Nel 1980 cura alcuni effetti speciali del film "Inferno", diretto da Dario Argento. Il 27 aprile 1980, quando sopraggiunge la morte, all'età di 66 anni, sta lavorando a un altro film di fantascienza "Star Express". Bava è apprezzato per le innovazioni apportate al cinema (l'uso 'fotorealistico' del colore; l'utilizzo, giudicato spropositato da alcuni critici, dello zoom) e per i temi trattati, da molti tra i più quotati registi dei giorni nostri, che lo citano spesso di rimando nei propri lavori, tra questi: David Lynch ("I segreti di Twin Peaks",1990-1991); Tim Burton ("Il mistero di Sleepy Hollow", 1999) e Quentin Tarantino che ha dichiarato che in ogni sua inquadratura c'è il genio di Mario Bava. | |
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